Tutti ricorderemo per sempre il famoso gol di Maradona degli 11 tocchi in Argentina – Inghilterra del 1986, che poi è stato replicato da Messi contro il Getafe nel 2007 (forse i più giovani ricorderanno quello). La domanda che mi pongo è questa: Maradona e Messi avrebbero segnato ugualmente quei gol, se da bambini i loro istruttori li avessero bombardati continuamente con la frase “non portare palla, massimo 2 tocchi!”? Probabilmente no. Quando si è bambini la propria mente assorbe come una spugna tutte le informazioni che arrivano, e se quelle informazioni vengono ripetute fino alla pre-adolescenza, verranno interiorizzate ed accettate come giuste.
Mi è capitato purtroppo nella mia carriera di allenare ragazzi (ormai diventati grandicelli, categoria giovanissimi) che sono stati tartassati in questo modo da bambini, e purtroppo non sono riuscito nei miei pochi mesi di lavoro a cambiare le cose. Questi ragazzi, pur avendo di fronte a loro grandi spazi e magari un solo avversario da saltare, la prima cosa che facevano era fermarsi per cercare qualcuno a cui passarla. L’idea di andare da soli nello spazio, facendo 10,15,20 tocchi, guadagnando metri e magari arrivando in porta dopo un dribbling, non balenava neanche nella loro testa. Cosa era successo a questi ragazzi? Oramai nella loro mente si era innescato un meccanismo automatico che funzionava così: controllo il pallone e cerco a chi passarlo. Perché? semplice: perché erano stati abituati così, magari giocando a 7 su campi di calcetto, dove il tempo per pensare non c’era, allora se ricevevi e passavi subito (e ti andava bene) riuscivi ad arrivare in porta in pochi secondi. Peccato che quando passi a giocare sul campo a 11, dove gli spazi sono molto più ampi, questo modello non funziona più. Lì diventa fondamentale saper dominare i parametri di spazio e tempo (per approfondire leggi questo articolo: DOMINIO DI SPAZIO E TEMPO – La differenza tra un dilettante ed un campione ) ed avere fretta porta nella maggior parte dei casi a buttare via il pallone, regalando il possesso palla all’avversario.
Il calcio è uno sport di situazione. Significa che non esistono regole fisse, ma solo principi, che vanno bene nella maggior parte dei casi, ma non sempre. Riuscire a capire quando distaccarsi da questi principi ed inventare una giocata è ciò che distingue i campioni dai giocatori comuni.
Nel calcio non sempre vince chi è più bravo, ma vince chi è più EFFICACE. L’efficacia è tutto nel calcio, ci sono tanti giocatori che non hanno qualità tecniche eccelse ma sono terribilmente efficaci (Pippo Inzaghi ne è l’emblema). L’efficacia è conseguenza dell’intelligenza di gioco, se un giocatore pensa prima di agire, allora sarà efficace, se invece agisce senza pensare, con movimenti automatizzati, sarà sicuramente molto meno efficace. Prendiamo ad esempio il Barçelona attuale: ha perso gran parte dei suoi campioni, adesso ha una squadra di giocatori più standardizzati, che hanno un gioco meno estroso. Chi è che fa sempre la differenza? Lionel Messi. Una volta si diceva che Messi senza Xavi e Iniesta non sarebbe stato altrettanto efficace, oggi sta dimostrando il contrario. Ha adattato il suo modo di giocare ai suoi nuovi compagni ed è rimasto terribilmente efficace (9 gol in 5 partite). Lionel Messi è un “alieno”? CERTO CHE NO! E’ un ragazzo predisposto che è stato cresciuto calcisticamente nel modo giusto, con allenatori che gli hanno permesso di sviluppare al massimo il suo potenziale, senza mai limitarlo o reprimerlo.
Qual è dunque il “modo giusto” per far crescere nuovi Lionel Messi? (ribadisco il concetto CRESCERE e non NASCERE, perché campioni non si nasce, si diventa, al massimo si nasce predisposti a livello genetico)
Xavi, Iniesta, Messi ed i loro compagni cresciuti nel Barçelona fin da piccoli sono stati cresciuti con un metodo ideato da Horst Wein, che si basa sull’importanza del gioco come fulcro dell’apprendimento. Si parte dal gioco e si chiude con il gioco, gli esercizi analitici sono pochi e servono a correggere i difetti evidenziati durante il gioco. In questo metodo sono fondamentali gli spazi, i bimbi non sono mai uno addosso all’altro (non vedrete mai bambini giocare a 7 su un calcetto, poco ma sicuro) ma soprattutto hanno la piena libertà di esprimersi, le regole sono poche e variano a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere. Il formatore si limita con delle domande a stimolare i bambini a pensare ed a raggiungere la soluzione migliore autonomamente. Quando ho avuto la fortuna di fare un corso con lui, ricordo che chiedeva spiegazioni ai bambini sul motivo delle loro giocate (esempio una palla buttata via nel vuoto). Spesso non c’era alcun motivo, ed ho notato che i bambini, dovendo spiegare il perché delle loro giocate, cominciavano a dare un senso ad ogni loro giocata.
Veniamo ora finalmente a spiegare il titolo dell’articolo: dare un limite di tocchi, impedisce ai ragazzi di trovare sempre la soluzione migliore. Torniamo al caso del contropiede in campo aperto: la soluzione migliore è partire nello spazio ed arrivare a far goal. Con due tocchi non posso farlo. Ho notato che spesso quando si ha un limite di tocchi si tende ad andare di fretta ed a buttar via la palla anche se non pressati. Si cercano giocate standardizzate senza mai inventare nulla, non si tentano più le grandi giocate, le finte, i cambi di direzione, i dribbling, tutto si limita ad un controllo e passaggio, controllo e passaggio, controllo e passaggio, che va bene fino a quando arrivi sulla trequarti avversaria, ma poi? Chi rompe gli equilibri di una difesa ben schierata? sempre chi inventa giocate fuori dal comune, e spesso ha bisogno di più di 2 tocchi. Visto che l’allenamento è lo specchio della partita, sono contrario a limitare i tocchi anche in allenamento (salvo in esercitazioni specifiche dove l’obiettivo lo richiede) e soprattutto nelle partite di allenamento.
Molto peggio del limite di tocchi nel settore giovanile c’è il “lavoro per schemi”. Qualche giorno fa osservavo lavorare un collega che lavora molto per schemi ed ascoltavo le sue parole: “nel calcio è importante la memoria, dovete conoscere i movimenti come le tabelline” oppure “quando ti arriva la palla in questa situazione devi fare SEMPRE questo, non c’è niente da pensare, arriva la palla, cerco la punta, scarico sul centrocampista e si va dall’altro lato” (e se invece ho spazio davanti a me, la punta ha 2 uomini addosso ed il centrocampista è marcato stretto?). Negli allenamenti quasi solo schemi, che venivano ripetuti fino alla noia. A mio giudizio questa è la morte del calcio come sport di situazione e come spettacolo. Ovviamente questa è solo una mia opinione ed un mio modo di vedere il calcio, non contesto la competenza del collega, semplicemente vediamo il calcio in maniera diametralmente opposta.
Il calcio è gioia, è divertimento, è armonia, è fantasia, è creatività… questo è lo sport di cui mi sono innamorato, lasciamo i ragazzi liberi di esprimersi, senza vincolarli troppo con limiti di tocchi e schemi da seguire. Per gli schemi ci sarà tempo quando arriveranno in prima squadra. Facciamo in modo che i ragazzi si divertano e traggano piacere nel giocare, a qualsiasi livello, come faceva Ronaldinho, sempre con il sorriso.
P.S. = ci tengo a specificare: questo non significa che bisogna arrivare all’opposto, che un ragazzo debba giocare da solo e dribblare tutti, va ricordato sempre che il calcio è un gioco di squadra e che la cosa più importante rimarrà sempre l’EFFICACIA della giocata, soprattutto quando il livello si alza. Il proprio talento va messo a servizio della squadra, come diceva John Nash: “il miglior risultato si ottiene, quando ogni membro del gruppo fa ciò che è meglio per sè E PER IL GRUPPO”.