FORMARE I GIOCATORI: IL VERO OBIETTIVO DI OGNI SETTORE GIOVANILE SERIO!

Dopo “Spagna 3 – 0 Italia”, Andrés Iniesta ha dichiarato che alla base del declino della nazionale italiana c’è un problema di mentalità. In Spagna lo chiamano “resultadismo”: si intende la ricerca ossessiva del risultato, già dai primi anni del settore giovanile, il che fa passare in secondo piano quello che è il vero obiettivo: LA FORMAZIONE E LA CRESCITA DI OGNI SINGOLO RAGAZZO.

Sarà vero? Scopriamolo analizzando il mondo del calcio italiano, sia professionistico che dilettantistico:

Come si fa a capire se una scuola calcio trascura la formazione dei ragazzi pensando solo ai risultati?

Elencherò qui una serie di sintomi:

1) TECNICI CHE COMANDANO I GIOCATORI TIPO PLAY STATION (esempi: “Passa a Marco”, “Allarga a destra”; “Tira!”, “Passala indietro”; “Buttala avanti” ecc…): Quando il tecnico dà ai ragazzi solo istruzioni da seguire, impedendogli di esprimersi e di giocare liberamente, è sicuramente un cattivo segno. Un buon tecnico lascia i giocatori liberi di giocare, salvo poi correggere gli errori una volta commessi (facendo un paragone con la scuola: l’allenamento è la spiegazione, la partita il compito in classe: se lo fa il professore non serve a nulla!). I bambini meno sbagliano e meno imparano, quindi ben vengano gli errori, l’importante è riconoscerli, correggerli e non commetterli di nuovo. Dire ai propri giocatori cosa fare aumenta sicuramente le possibilità di fargli vincere la partita (ammesso che il tecnico sia competente https://www.facebook.com/images/emoji.php/v9/f51/1/16/1f603.png ) ma va a diminuirgli la capacità di risolvere autonomamente le situazioni di gioco: aspetteranno sempre istruzioni, ed in mancanza di esse si vedranno persi ed indecisi, finendo nella maggior parte dei casi per perdere il pallone.

2) UTILIZZO DI GIOCATORI FISICAMENTE PRECOCI ED EMARGINAZIONE DEI RAGAZZINI PIU’ PICCOLI: Utilizzare giocatori che hanno sviluppato prima (quindi più forti fisicamente), aumenta le possibilità di arrivare prima sul pallone, vincere i contrasti e quindi andare in porta con più semplicità, soprattutto se si gioca a “palla lunga e sportellate”. Così facendo si danno meno stimoli sia ai ragazzi che giocano, che sanno di avere il posto garantito, non per merito, ma per doti fisiche; sia ai piccolini che giocano pochissimo (spesso essendo anche più bravi ed efficaci dei compagni in campo) con tutto quello che ne consegue (perdita di autostima, demotivazione, abbandono precoce). Una società che invece vuole formare, quando schiera la formazione tiene conto di tante altre variabili: impegno e presenza in allenamento, comportamento ecc…

3) “IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI”: Questa è la cosa peggiore che io abbia mai visto, ovvero la ricerca del risultato con qualsiasi mezzo, onesto e disonesto, legale ed illegale. Giocatori più grandi e/o squalificati fatti giocare sotto falso nome, intimidazioni dagli spalti, colpi proibiti a palla lontana, perdite di tempo eccessive, simulazioni clamorose, disonestà dei giocatori con l’arbitro e tante altre schifezze. Un genitore che ama il proprio figlio e voglia educarlo a dei valori dovrebbe abbandonare immediatamente una società del genere. Ho sempre detto ai miei ragazzi che è meglio una sconfitta onesta che una vittoria disonesta.

4) LAVORO PER SCHEMI ED UTILIZZO DELLA TATTICA COLLETTIVA GIA’ IN TENERA ETA’: Situazione molto simile alla prima: il lavoro per schemi dà ai ragazzi istruzioni da ricordare e non situazioni di gioco da risolvere, quindi non gli permette di sviluppare la loro intelligenza di gioco.

5) PALLA LUNGA E PEDALARE: Massima espressione del “non-gioco”. C’è da aggiungere altro?

Se la vostra scuola calcio presenta questi sintomi, sappiate che non sta lavorando per formare i ragazzi.

Un altro problema è quello di chi vede la scuola calcio come business: moltissime società puntano esclusivamente ad avere più iscritti paganti possibili, indipendentemente dalla reale capacità di gestirli, a livello di spazio e di staff. Per loro i ragazzi sono solo numeri, una fonte di guadagno, non vengono considerati come esseri umani, ma piuttosto alla stregua di bestiame: 40 bambini in un calciotto, 20 su un calcetto, un solo tecnico (spesso senza patentino) per 25/30 ragazzini, campionati a 7 sul calcetto (addirittura esordienti!) sono tutti sintomi di una società che lavora al risparmio, interessata solo alla crescita del proprio conto in banca e non a quella dei bambini. In queste condizioni, difficilmente i giocatori svilupperanno al meglio il loro potenziale. Alla società non importa il miglioramento dei ragazzi, si punta solo a farli divertire affinché restino e continuino a pagare. Proprio recentemente mi è capitato di incontrare un ragazzino che dopo 3 anni di scuola calcio (e di rette pagate) ancora portava la palla con l’interno: i genitori dovrebbero farsi restituire tutti i (non pochi) soldi!

In alcune realtà professionistiche italiane purtroppo la situazione non è tanto migliore: allenatori “sponsorizzati” (spesso incompetenti), genitori che pagano per far giocare i figli ( del tipo “il ragazzo ci interessa ma ci sarebbero da pagare 500€ al mese per il convitto…” ), squadre formate unicamente con i cosiddetti “nulla a pretendere” delle società di provenienza, che vengono smantellate puntualmente appena si superano i 18 anni. Ed i risultati, purtroppo, si vedono: la tabella nel primo commento mostra i 40 vivai che hanno fornito più giocatori a tutte le prime serie europee: non c’è un’Italiana! (Qualche realtà virtuosa la abbiamo anche in Italia fortunatamente, ne ho visitate alcune che lavorano molto bene. )

RICAPITOLANDO: L’obiettivo di ogni settore giovanile dovrebbe essere quello di formare giocatori per la prima squadra, in modo da non dover comprare stranieri dall’estero a suon di milioni.

Questo si può fare:

1) Destinando le giuste risorse al settore giovanile (magari si fa un grande acquisto in meno e si investe per crescere 100 giocatori in più)

2) Assumendo tecnici competenti e dando loro la possibilità di dedicarsi al proprio lavoro a tempo pieno, quindi con una paga adeguata allo status di professionista (un allenatore che forma un’intera annata di giocatori sicuramente crea molto più valore rispetto a qualsiasi sponsor possa portare un incompetente!)

3) Selezionando i giocatori migliori e non quelli raccomandati, disposti a pagare o che vengono con in mano il “nulla a pretendere”.

Iniesta aveva dunque ragione, ma possiamo rimediare ancora: invito tutti i presidenti ed i direttori delle società professionistiche a guardare oltre il proprio naso e di iniziare ad investire sui nostri giovani, prima che sia troppo tardi!

Mr. Alessandro Zenone

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